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A seconda della droga – sia essa artigianale o farmaceutica, “metaforica” o tradizionale, sciamanica o industriale – si possono dividere tre generi di consumatori, figure tutt’altro che ben definite ma che possono aiutare nella comprensione del fenomeno nel suo complesso: il medicine man [curandero], il junkie e il bohèmien.

Ma prima di addentrarci in questa classificazione del consumo, sarà utile riportare alcune definizioni: secondo l’enciclopedia Treccani per droga s’intende

ogni prodotto naturale, vegetale o animale, contenente uno o più principi attivi (alcaloidi, glicosidi, saponine, oli essenziali, sostanze amare, purgative, aromatiche ecc.) e che pertanto, opportunamente preparato e conservato, trova indicazioni terapeutiche o sperimentali.

Tale definizione è generica e non arriva certo al cuore del nostro discorso. Più interessante, il paragrafo seguente: nel linguaggio corrente viene chiamata droga qualsiasi sostanza capace di modificare temporaneamente lo stato di coscienza o comunque lo stato psichico dell’individuo. Un’enciclopedia scientifica deve arrestare qui il suo discorso, e rimandare ad altre voci [stupefacente, allucinogeno, etc.] per affrontare il carattere morale dell’uso di droghe.

Claviceps Purpurea

L’etimo della parola rimanda a due morfemi: l’altotedesco [druggen, trocken],seccare”, rimanda alla pratica dello speziale, che essiccava le piante medicinali per estrarne il principio curativo. Il morfema sanscrito दुर्ग [Durga] vuol dire “fortificazione, castello” e “difficile passaggio”: nel gergo comune, lo stato di coscienza alterato, sopito può essere detto in inglese stoned, “pietrificato”; spesso, il consumo di droga è visto come un rito di passaggio in molte società, ma qui il termine sembra riferirsi piuttosto alla coincidenza tra soggetto e oggetto tipica della mente primitiva: lo stadio evolutivo vegetale coincide con la coscienza vegetativa, la foglia essiccata è l’essenza di questo stadio. Collaterale la parentela con असुर [Asura] cioè “demone”: una coscienza alterata – ma a ben guardare ogni co-scienza! – può dirsi abitata da una presenza che guida il soggetto – o un gruppo – nelle fasi di un viaggio. Durante la fase post-aurorale del mito di creazione, demoni e dèi si contendono il dominio sul mondo: senza l’ausilio di alcuna droga non si darebbe questo scontro titanico, e il viaggiatore perderebbe la partita per la conquista del Sè.

[20110818] Tarot - Le Diable XV

Il viaggio è una metafora privilegiata. In molti resoconti questo paragone torna utile: si lascia il porto sicuro della routine, lo habitus della propria coscienza e l’atmosfera rassicurante delle percezioni sensibili per prendere il largo di sensazioni inesplorate, spesso sconcertanti, simili al sogno, ma differenti da questo per qualità che lo rendono irriducibile alla sfera onirica. Nella letteratura di genere, pochi romanzi si assumono il compito di rendere il fenomeno di una coscienza alterata con tanta dovizia come il Neuromante di William Gibson, dove il protagonista è sopravvissuto a un passato da consumatore incallito e un’azienda si fa carico del suo recupero [i. e. la ricostruzione del suo sistema nervoso] per farlo lavorare nelle sue file. Eredi di tale capacità narrativa, Philip Dick [Un oscuro scrutare, tra gli altri] e Richard Linklater dalla cui vena aurea nascono anche lucide trasposizioni cinematografiche: Waking Life è un sapiente saggio di “onironautica” – qui i due campi si sovrappongono – attraverso un resoconto corale di adolescenti musicisti, teorici dell’arte e della scienza, nichilisti impazziti, due innamorati e una storia frammentata che svisa il medium in un mélange allucinatorio, come nel sogno o nell’esperienza psichedelica. Ma la metafora del viaggio è parte integrante la cultura mesoamericana del peyotl – qui il riferimento a Castaneda è immancabile – dove chi decide di assumere la droga mescalina estratta dal cacto non può farlo senza una guida sciamanica che lo conduca attraverso fasi successive, proprio come avviene in un viaggio da cui si torni profondamente mutati.

 

Infine, la sperimentazione degli psiconauti statunitensi – Leary, McKenna, Huxley – sancisce una volta per tutte il nesso tra il consumo di droghe sintetizzate in laboratorio, come l’acido lisergico, LSD e le amfetamine, l’Ecstasy, o MDMA, e il periplo: l’uscita dai limiti psichici della coscienza tramite un piccolo francobollo, un cartoncino imbevuto di acido, un trip [ing. “viaggio”] che riesca nei soggetti più contemplativi a far toccare vette – o baratri – che la tradizione hindu prescrive con severe meditazioni ed accorgimenti, disciplina e rigore, è lo stato di abbandono prelogico, l’oscurità imperscrutabile e dura della materia, o la faccia che avevi prima di essere nato.

Se il viaggio è la metafora prediletta di ogni resoconto relativo all’uso di droga, questo spiegherebbe gran parte della motivazione che spinge al consumo: l’impossibilità di movimento – economica o d’altro genere – costringe l’individuo a spostarsi virtualmente, giacché muoversi, cœlum mutare, è un bisogno naturale, originario, insieme all’approvvigionamento di energia e acqua.

In quest’ottica, il medicine man è insieme la guida spirituale religiosa e scientifica che conduce attraverso l’esperienza della droga: in mancanza di questa, il rischio è alto – in pericolo la vita stessa dello psiconauta – o semplicemente vano il tentativo di raggiungere gradi elevati di coscienza. Senza una guida, un compagno capace di regolare le due variabili fondamentali per un corretto svolgimento della trama psiconautica [il set e il setting] il consumo diventa facilmente quello del junkie, il consumatore inconsapevole, l’idrovora, la spugna, il beone smisurato, il ripetitore coatto, il fumatore incallito che non distingue più un tiro dall’altro, né un viaggio dalla sua conclusione. Si noti che questa guida può bensì essere pure simbolica, un animale totemico o un santo – come avviene nel caso del culto di Maria Lionza in Venezuela, dove la divinità stessa guida il medium nella possessione sciamanica, ma “alla divinità piace molto bere rum e fumare grandi foglie di tabacco in sigari”: queste sostanze, consumate in abbondanza da una sacerdotessa che officia il culto, fungono da tramite e intercedono affinché la possessione, il viaggio e la comunicazione con lo spirito al quale è richiesto aiuto possano avvenire – ma in mancanza di chiare coordinate l’implosione e il bad trip sono inevitabili. Anzitutto, condizione essenziale della riuscita è che l’individuo sia consapevole che sta assumendo droga.

Pioniere dell’amfetamina e delle droghe psichedeliche [come l’LSD], negli anni in cui non si conosceva neppure la differenza tra un dosaggio e l’altro, e quali fossero gli effetti sulla persona dei principi attivi, Timothy Leary stabilì insieme al suo gruppo di studio che il setting è l’insieme delle emozioni, gli stati mentali, le condizioni fisiche e storiche dell’individuo – o gli individui – che assumono una sostanza; il set corrisponde all’ambiente circostante, gli elementi scenografici, proprio come il set di un cinema, o il palcoscenico di un teatro. A partire da queste due variabili, si può decidere se deflorare la mente o esplorarla.

Qui di seguito, una breve bibliografia di sostegno: